Giovanni Battista Colimodio fu un pittore calabrese del Seicento, conosciuto soprattutto per aver realizzato affreschi e tele per alcune chiese della Calabria settentrionale. Nacque probabilmente a Orsomarso, in provincia di Cosenza, intorno al 1610 da Musessa Salomone e da Francesco Antonio, anch’egli pittore. Francesco Antonio, come scrisse il compianto Giorgio Leone, è il capostipite di «una vera e propria dinastia di pittori Colimodio» di cui, oltre al nostro Giovanni Battista, operoso negli anni centrali del Seicento, bisogna segnalare, a metà del Settecento, l’attività dell’ancora enigmatico D(omenico) A(ntonio).

Vita & Opere

I recenti studi, che ci restituiscono una figura meno evanescente del pittore, sono raccolti ed esposti nella monografia Giovanni Battista Colimodio. Vita e opere di un pittore del Seicento di Alberto Pincitore, edita da Ferrari nel 2017 all’interno della collana Arte & Territorio diretta da Giorgio Leone.

La formazione artistica di Giovanni Battista è verosimilmente avvenuta presso la bottega del padre. L’ambiente artistico calabrese in cui il pittore muoveva i suoi primi passi era certo caratterizzato da una tradizione tardomanierista e controriformata, rivolta agli esiti di quei pittori operosi a Napoli tra Cinquecento e Seicento, particolarmente verso le tele dei Fiamminghi italianizzati, quali Cesare Smet e Pedro Torres, i cui riverberi pittorici sono evidenti anche nelle due pale d’altare dipinte dal padre Francesco Antonio. Un passo significativo verso la rivalutazione artistica del pittore è, senza dubbio, il ricordo in una lettera scritta da Napoli il 24 luglio 1649 dalla celebre pittrice Artemisia Gentileschi e indirizzata ad Antonio Ruffo principe della Scaletta, in cui chiede notizie su Titta Colimodio, appunto il nostro Giovanni Battista (si veda la voce “Titta” Colimodio e Artemisia Gentileschi all’interno del sito).


Un suo probabile soggiorno a Napoli avvenne tra il 1634 e il 1649, anni in cui nella città Artemisia dirige una bottega. Alla fine del 1639, inoltre, un documento redatto a Napoli lo pone in relazione con Massimo Stanzione e ciò permetterebbe di intuire che Giovanni Battista Colimodio, a tale data, sia già introdotto nell’ambiente artistico partenopeo vicino alla Gentileschi.
Nel 1649, quando Artemisia chiede notizie del pittore da Napoli, Colimodio si trova con certezza in Calabria in Calabria dal momento che firma la pala d’altare ad affresco raffigurante San Michele arcangelo e santi per la chiesa del Santissimo Salvatore di Orsomarso.
Nulla si conosce a riguardo della produzione giovanile di Giovanni Battista Colimodio, che è attestabile con certezza cronologica a partire dal 1649 – quando il pittore aveva circa 39 anni – dal momento che tale data è apposta assieme alla sua firma, sulla pala d’altare affrescata raffigurante San Michele arcangelo e santi per la chiesa del Santissimo Salvatore di Orsomarso.
La composizione è armoniosa e il pittore dispone i sacri personaggi all’interno di un’architettura dipinta a guisa di arco di trionfo. Il recupero della lezione classica, palesata nel complesso degli elementi architettonici dipinti, esplica stilemi che Colimodio recepisce a Napoli, muovendosi tra espressioni naturalistiche ed enfasi classiciste, che per il pittore potrebbe rappresentare quella sorta di ritorno al passato avvenuto anche nell’arte di Artemisia Gentileschi. Le adesioni verso le soluzioni pittoriche sviluppate a Napoli si apprezzano nella resa del panneggio e nella naturalezza dei visi che collimano con le scelte adottate sul palcoscenico napoletano da Artemisia e dai quei pittori a lei vicini.
La maniera espressa nelle opere di Giovanni Battista Colimodio riflette appieno l’esperienza matura del naturalismo partenopeo già rivolto verso esiti barocchi tendenti al recupero del classicismo che distingue la pittura del quarto-quinto decennio del Seicento, coniugandoli a una tradizione calabrese ancora controriformistica e dunque legata al chiarimento della fede attraverso le immagini.
Il pittore accoglie questi paradigmi stilistici e li reinterpreta seguendo da vicino le realizzazioni di Artemisia Gentileschi e dei pittori napoletani a lei vicini quali Stanzione e Cavallino, si tratta di esili contatti ma comunque riconoscibili in alcuni tratti esecutivi come nella preziosità dei panneggi, nonché nelle vesti scalfite con ricercatezza luministica evidenti nelle tele moranesi della Collegiata dei Santi Pietro e Paolo. L’Adorazione dei pastori, dipinta tra il 1657 e il 1663, dove è possibile ipotizzare in un personaggio raffigurato la presenza di un suo autoritratto, più rivolta al naturalismo rispetto alla Madonna col bambino in trono e santi datata 1666, di netta ascendenza classicista e ancora nella bellissima Santa Lucia, databile anch’essa agli stessi anni, dove la Santa è ritratta in atteggiamento contemplativo mentre alle sue spalle, uno scorcio cittadino accoglie un episodio legato al suo martirio, il miracoloso tiro dei buoi. A Orsomarso si conservano le pale d’altare effigianti la Madonna di Schiavonea fra i santi Pietro e Giovanni Battista con donatore dove il pittore dispone le figure seguendo un ordine gerarchico, così come nella splendida Sacra Famiglia con Sant’Agata, entrambe databili intorno al 1663, esposta anch’essa nella chiesa di San Giovanni Battista che per le sue qualità stilistiche, giunge verso esiti di un linguaggio espressivo scelto ed elevato.
Nell’edificio sacro, inoltre, è dipinta l’opera certamente più nota tra quelle a lui attribuite ossia il ciclo di affreschi che impreziosisce le pareti e la volta e del presbiterio. Sulle prime sono raffigurate la Predica del Precursore e la Decollazione, e a grandezza naturale otto figure di Santi. Le lunette, invece, sono istoriate con due episodi della Natività, mentre al di sopra dell’arco trionfale è ritratto San Francesco d’Assisi in estasi.
Sulla volta il pittore dipinge l’Eterno Padre e santi suddivisi da fasce monocrome a finto rilievo d’encarpi che danno l’illusione di essere stucchi posti sulle nervature delle vele. Tra le figure edificanti dei santi affrescati sulle pareti, si nota che l’unico ad essere accompagnato da un nastrino con inscritto il nome, che fuoriesce dal libro sorretto dalla mano, è sant’Oronzo. Si tratta di una soluzione simbolica, probabilmente adottata per la scarsa conoscenza che i fedeli di Orsomarso avevano di questo santo nel periodo in cui vennero realizzati gli affreschi. Da qui l’ulteriore ipotesi che la volontà di eleggere Sant’Oronzo tra i protettori di Orsomarso sia coeva agli affreschi e dettata da determinate circostanze storiche che permettono di datare le pitture tra il 1656 e il 1658. Le peculiarità di queste pitture confermano quanto questo sia un progetto di ampio respiro e supporto tecnico, capacità senz’altro rare tra i pittori operanti e formatisi localmente, anche se per la sua realizzazione è plausibile che Giovanni Battista si sia avvalso di aiutanti che rafforzerebbe, dunque, l’ipotesi di una sua bottega sita a Orsomarso o in un centro vicino.
A Giovanni Battista Colimodio è possibile attribuire altri due importanti cicli di affreschi: quelli del presbiterio del Santuario della Madonna della Catena di Cassano all’Ionio e quelli che decorano la chiesa del Santissimo Salvatore di Cosenza. In entrambi i casi però, va precisato, che le pitture così come le possiamo vedere oggi sono l’esito di interpolazioni pittoriche successive. Nel Santuario di Cassano all’Ionio è possibile attribuire al pittore il completamento seicentesco della sacra immagine della Madonna della Catena effigiata sull’altare maggiore.
Osservando l’intero ciclo di affreschi del presbiterio si possono notare alcune analogie con gli affreschi di Orsomarso che permettono di avanzare l’attribuzione a Colimodio se non altro nell’ideazione del progetto delle decorazioni pittoriche. Le qualità formali di queste pitture paiono ancor più evidenti nei due episodi tratti dalla vita della Vergine, ambientati in uno scenario di architetture classiche, e realizzati dal pittore con un taglio prospettico che conferisce un effetto illusionistico alle composizioni e risalta, inoltre, il valore plastico delle figure.
Nel ciclo di affreschi della chiesa del Santissimo Salvatore o di Sant’Omobono a Cosenza, sede dell’omonima parrocchia Greca per gli italo – albanesi di rito bizantino residenti a Cosenza e dintorni, per lo più provenienti dai paesi arbëreshë raggruppati nell’Eparchia di Lungro, sono raffigurati il Salvator Mundi, la Mater Dei e gli Apostoli, disposti in successione uno accanto all’altro entro una finta nicchia. I dipinti sono datati 1660 e costituiscono un episodio molto importante per l’arte cittadina del periodo; essi decorano la superficie alta delle pareti dell’aula e sopra l’arco santo della chiesa tramite un elaborato fregio a girali che corre su ogni figura. Lungo le pareti della chiesa sono dipinti gli Apostoli mentre ai lati dell’arco Santo sono effigiati il Santissimo Salvatore e la Mater Dei.
I sacri personaggi affrescati esprimono notevoli affinità con quelle dei santi che Colimodio realizzò per il presbiterio della parrocchiale di Orsomarso, ravvisabili nelle fisionomie rese con sapiente capacità naturalistica, e soprattutto nell’impianto monumentale con cui ogni figura è realizzata, sebbene i contorni qui paiono fin troppo marcati. Un ulteriore aspetto che accomuna queste pitture con la maniera espressa da Giovanni Battista Colimodio è l’accuratezza con cui il pittore risolve il chiaroscuro. Negli affreschi di Cosenza, infatti, il pittore si attiene alla naturale irradiazione della chiesa e proietta le ombre dei Santi sullo spazio che li contiene. Il morbido panneggio è reso con egual minuzia e le tinte sfoggiano il medesimo preziosismo dei tessuti che distingue la produzione artistica del pittore di Orsomarso.
Sono questi e tanti altri gli aspetti più interessanti espletati dal linguaggio artistico del pittore, le cui peculiarità sembrano ben reinterpretare quei paradigmi stilistici profusi e appresi a Napoli accanto a un’artista importante come Artemisia Gentileschi. La documentazione relativa alla vita di Giovanni Battista, finora rintracciata, permette di circoscrivere la sua esistenza fino a febbraio del 1672; non si conoscono, infatti, né il testamento né l’atto di morte del pittore. Nel luogo natio si cercano sue notizie, come testimonia una lettera scritta dall’Arcidiacono di Cassano all’Ionio nel 1669, ma non traspare la certezza della sua presenza; invece, la serie dei documenti rintracciati a Orsomarso – presentati e discussi nella sua monografia – comprova una sua presenza pressoché costante a Orsomarso e nei territori limitrofi a partire dal 1649, data cruciale che, verosimilmente, sancisce il commiato da Napoli e l’inizio della sua carriera artistica in Calabria.

A cura di Alberto Pincitore e Cecilia Perri.